Il  sidernese Titta Foti è stato un grande giornalista calabrese. L’unico maestro di giornalismo che la Calabria abbia mai avuto. Aveva una somiglianza fisica impressionante con l’ex ministro delle Finanze Luigi Preti. Della serie, separati dalla nascita. Preti temutissimo ministro delle finanze negli anni ‘6O e ’70, Foti direttore, nello stesso periodo, de Il Gazzettino del Jonio. A proposito, come si scrive: del Jonio o dello Jonio? Ciò fu oggetto di un’appassionata discussione nella redazione del giornale nel momento della registrazione della testata.

Questione risolta perché la J semiconsonante e non vocale. Allora si rispettava la lingua. Giocando con le analogie fisiognomiche Titta Foti si può accostare a Humphrey Bogart per quel particolare carisma che ne ha fatto un personaggio di grande fascino intellettuale. La redazione di un giornale, anche la più piccola e periferica è, per definizione, una scuola di giornalismo. I veri cronisti si forgiano nella cucina redazionale dove ogni sera si sfornano le più svariate pietanze, buone e meno buone ma sempre faticate. Ogni sera a combattere contro il tempo tiranno. C’è chi, buttato in mare senza saper nuotare, annega subito e chi, dimenandosi, resiste. La selezione è dura e crudele. Ma qualcuno, ogni tanto, fa pure carriera. Certo oggi ci sono ottime scuole di giornalismo dove si declinano le nuove specializzazioni. Anche se la strada rimane la migliore palestra. Una volta s’intendeva per “scuola di giornalismo” quel luogo in cui esercitava il suo carisma, spesso dispotico, un maestro riconosciuto che predisponeva a feconde emulazioni gli allievi opportunamente asfaltati dall’imperio del capo. Ma come esercitava il suo fascino -che poi era un misto di potere e crudeltà – il maestro di tinto che ridimensionava il pivellino che, scrivendo un pezzo, pensava di avere composto la Divina commedia? In tanti modi: con la propria personalità, con l’esempio, con la scrittura, con quella sottile e benefica tirannia con la quale si piega il collaboratore alle prime armi a un disegno ben preciso. II tratto inconfondibile del buon maestro era, e dovrebbe essere ancor’oggi, l’uso del cestino per mandare al macero pezzi impubblicabili. Più il cestino era pieno e più cresceva la possibilità di formare buoni giornalisti.

Questa tiritera iniziale per dire che anche in Calabria ci sono state scuole di giornalismo. Ossia, maestri che hanno insegnato il mestiere a una generazione di giornalisti che poi si sono fatti valere nell’arte dello scrivere. Uno di questi maestri, come detto, è stato Giovanbattista Foti, Titta per tutti, nato a Sidemo l’8 novembre 1912 e morto il 16 settembre 1978. Foti divenne noto nella regione per aver diretto, dal 1956 al 1973, il settimanale di battaglia Il Gazzettino del Jonio. Tra i suoi allievi ci furono Moisé Asta, Franco Martelli, Luigi Malafarina, Osvaldo Bevilacqua, Rocco Ritorto, Salvatore G. Santagata, Sharo Gambino, Pasquino Crupi, Enzo De Virgilio. Trai collaboratori numerosi furono gli intellettuali: Aldo Casalinuovo, Antonio Piromalli, Emilio Argiroffi, Fortunato Seminara, Franco Abruzzo, Gaetano Greco Naccarato, Ilario Principe, Luigi Maria Lombardi Satriani. Insomma quasi tutta l’intelligenza del tempo. Egli era genio e sregolatezza. Intelligente, creativo, bizzarro. Fumatore incallito e giocatore di poker allo stadio terminale. Egli fece parte di quella speciale schiera di grandi autori che hanno percorso l’Italia a cavallo della seconda guerra mondiale. La sua figura richiama personaggi illustri del giornalismo italiano come Leo Longanesi, Curzio Malaparte, Ennio Flaiano, Gaetano Baldacci, Indro Montanelli, Vittorio Gorresio, Mario Pannunzio. Personalità che, pur professando idee diverse e contrapposte, avevano un minimo comun denominatore: l’insofferenza verso i cretini e verso il potere costituito dagli orpelli, che si manifestava in una coraggiosa libertà di esposizione. A loro modo tutti questi personaggi sono stati dei frondisti”, ovvero viaggiatori controcorrente rispetto alle mode del momento, lisciando il pelo e ancor di più il contropelo alle abitudini codine degli italiani innamorati delle maiuscole.

Egli, cresciuto alle idee di Bakunin e Malatesta, fu un dirigente anarchico di primo piano – e questo spiega il suo carattere ribelle tanto da essere riconosciuto come un protagonista del Congresso anarchico di Carrara del settembre 1945. Durante il periodo bellico riparò in Ancona dove, fra l’altro, svolse l’attività di commediografo. Fu lui a lanciare in teatro giovanissimo reduce della Repubblica di Salò, Giorgio Albertazzi.  Dopo il referendum costituzionale del 1946 si trasferì a Roma per fare il giornalista a tempo pieno. Lavorò nel quotidiano Giustizia accanto a Carlo Andreoli e, successivamente, a Paese Sera. Poi il ritorno in Calabria, nella sua Siderno, dove con l’ingegnere Giuseppe Primerano e l’avvocato Nicola Zitara, due grandi meridionalisti, fu lanciato il Gazzettino del Jonio. Un settimanale di rottura che mandò in frantumi il silenzio dei benpensanti, facendo saltare in aria gli schemi paludati di quel meridionalismo piagnone e pietrificato nel quale, nel gioco delle parti, gli avversari si pungevano vicendevolmente a colpi di fioretto senza farsi male. Il giornale, la cui redazione si trasferì da Siderno a Catanzaro, fece inchieste scomode mordendo i polpacci ai potenti di turno che crollavano per evitare che la macchia s’allargasse.

Una rivoluzione di stile e di intenti che consentì al settimanale di impennare nelle vendite, con il lettore, impaziente, che aspettava l’arrivo del giornale in edicola per scoprire gli altarini di questo e di quello. Non sempre le denunce erano disinteressate, ma le code di paglia erano tante e tali che Foti aveva l’imbarazzo della scelta. Memorabile fu la battaglia che egli fece in prima persona contro la dirigenza del Banco di Napoli costretta poi a trattare la ritirata col direttore. Capacità di Titta Foti era quella di fare un giornale scritto bene, curioso, mai banale, graffiante ma non irresponsabile, in grado di soddisfare, per certi versi, i pruriti del lettore. Ma, soprattutto, era la personalità di Foti a destare ammirazione. In un libro del 1999 Giuseppe Errigo, insegnante e dirigente del Pci di Siderno, scrisse di Foti: «Era capace di stupire per bravura, per eccessi, per colpi di genio nella dialettica quotidiana. Così come era capace di stupire in negativo quando si sedeva a un tavolo da gioco, come avvenne agli inizi degli anni settanta in poi» E viene da dire: è la stampa, bellezza!

Fonte: Il Quotidiano